Quando si affronta il tema della responsabilità sanitaria si parla spesso di consenso informato, delle sue implicazioni nel lavoro clinico di tutti i giorni e delle pratiche da seguire nella relazione tra professionista sanitario e paziente. Ma che cosa è il consenso informato? E quando si può considerare valido e correttamente recepito?
Partiamo dalla prima domanda.
In Italia, il consenso informato entrò nel dibattito pubblico dopo il celebre caso che vide la condanna di un chirurgo per omicidio preterintenzionale dopo il decesso di una sua paziente, avvenuto a causa di un intervento eseguito senza il suo consenso. Il tema si inserì nell’esigenza più grande di trovare un bilanciamento tra il diritto di informare correttamente i pazienti sottoposti a un trattamento sanitario e quello di tutelare i professionisti nello svolgimento del loro lavoro. Un bilanciamento non affatto scontato e non privo di criticità.
Diamo una definizione
Dal sito del Ministero della Salute, si legge che il consenso informato: “è il diritto di ogni persona di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”.
Si tratta, quindi, di una pratica imprescindibile al percorso di cura, da conoscere e da comprendere correttamente per essere in grado di instaurare una relazione di fiducia con i propri pazienti. Sempre il Ministero specifica che: “il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Il consenso informato, in qualunque forma espresso, è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico, e, in ogni momento la persona può rivedere le sue decisioni”.
Quando la norma parla chiaro
Dal punto di vista normativo, l’art. 32 della Costituzione italiana sancisce che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, in sintonia con il principio fondamentale della “inviolabilità della libertà personale” contenuto nell’art.13.
Il consenso informato è sempre obbligatorio e le uniche eccezioni previste riguardano:
- Situazioni di urgenza in cui le condizioni del soggetto interessato sono talmente gravi e pericolose per la sua vita da richiedere un intervento immediato. In questi casi si parla di “consenso presunto”;
- Nelle situazioni in cui il soggetto ha espresso in maniera esplicita la volontà di non essere informato;
- Nelle cure di routine o per i farmaci prescritti per una malattia nota. Si parla in questo caso di “consenso implicito”;
- Nei casi in cui le indagini diagnostiche non hanno permesso al chirurgo di avere una previsione definitiva dell’intervento. Si parla di “consenso allargato”;
- Nei Trattamenti sanitari obbligatori (Tso).
Nelle definizioni e negli articoli citati fino ad ora però, manca all’appello un aspetto cruciale: quando si può considerare il consenso informato recepito correttamente da parte dei pazienti?
Cosa non deve mancare nel consenso informato
Oltre agli aspetti tecnici e giuridici, bisogna considerare che il consenso informato è un processo comunicativo che implica un certo grado di comprensione da parte di chi lo riceve. Se le persone hanno il diritto di conoscere tutte le informazioni disponibili sulla propria salute e la propria malattia, devono anche essere in grado di capire quello a cui andranno incontro per poter prendere delle decisioni. Il consenso informato prevede, in questo senso, una capacità comunicativa da parte dei sanitari che non si esaurisce in una firma.
Un recente Position Statement pubblicato su Neurology dall’American Academy of Neurology, affronta questa problematica nel caso di pazienti colpiti da ictus, quindi di pazienti che potrebbero essere limitati nella loro capacità decisionale. Come ci si comporta in questi casi?
Per rispondere a questa domanda, i ricercatori partono dalla definizione degli elementi centrali su cui si deve basare il consenso informato:
- la comunicazione di informazioni;
- la raccomandazione di un piano e l’autorizzazione (o il rifiuto) del paziente del trattamento raccomandato;
- l’assenza di coercizione per effettuare la scelta.
«Esiste un repertorio di trattamenti in rapida evoluzione che sono altamente efficaci nel preservare la funzione neurologica dopo l’ictus – scrivono gli autori -, ma solo se somministrati rapidamente, in un momento in cui i pazienti spesso mancano di capacità decisionali e potrebbero non essere disponibili sostituti che prendono le decisioni». Per poter valutare se i pazienti godono o meno di questa capacità nel momento in cui viene loro proposto un trattamento specifico, i ricercatori suggeriscono di prendere in considerazione i quattro elementi che la compongono e di valutare sulla base di questi ultimi l’approccio comunicativo da seguire.
Quando possiamo affermare di avere raccolto correttamente il consenso?
Il consenso passa attraverso la verifica dei quattro elementi essenziali della capacità decisionale:
- Comprensione: una comprensione dei fatti di base che circondano una decisione, inclusa la natura della condizione, l’intervento proposto e le alternative, i rischi e i benefici dello stesso; la comprensione può essere valutata chiedendo ai pazienti di riformulare le informazioni fornite con parole proprie.
- Apprezzamento: riconoscimento di come le informazioni fornite si applicano al proprio caso; questo può essere valutato chiedendo ai pazienti di fornire una spiegazione plausibile del motivo per cui una linea di condotta proposta sarà o meno vantaggiosa per loro.
- Ragionamento: ciò include la capacità di confrontare le opzioni e dedurre coerentemente le conseguenze delle proprie scelte; può essere valutato chiedendo ai pazienti in che modo ciascuna delle opzioni disponibili influirà sulla loro vita quotidiana.
- Scelta: esprime una decisione, che dovrebbe essere ragionevolmente stabile in assenza di nuove informazioni.
Si tratta di passaggi essenziali che andrebbero presi in considerazione ogni volta che si affronta una pratica delicata come quella del consenso informato, una pratica che comporta, spesso, una scelta decisiva e di cruciale importanza per chi la compie. Essere in grado di captare i bisogni specifici dei pazienti, di accettarsi della loro comprensione e di sviluppare linguaggi accessibili, diventa una necessità per i professionisti sanitari e un valore in più per i percorsi di cura. Un aspetto che viene sottolineato anche nello studio: «Nel discorso bioetico il consenso informato è radicato nel principio etico di autonomia, che può essere visto più in generale come un’espressione di rispetto per le persone».
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