L’importanza di fermarsi, ogni tanto 

Dopo un periodo di vacanza, come può essere quello legato alle ferie o a qualche festività, si entra spesso nel vortice del “ricominciare”. Si fanno i bilanci sul prossimo futuro, sui traguardi da raggiungere, sulle cose da riprendere perché abbandonate. Una serie di attività e di pensieri che possono portare a un aumento delle aspettative e generare ansia. 
Il rientro, infatti, non è quasi mai semplice, richiede tante energie e si porta dietro anche una bella dose di malinconia. La retorica “del fare”, quel fare per non rimanere indietro, diventa spesso tossica. Ci si può sentire sopraffatti dagli impegni, dagli obiettivi e dalle pretese proprie e degli altri.
Per questo, fermarsi, ogni tanto, è necessario.  
Ma come si fa oggi a “spegnere” il cervello?

Una pausa significa tante cose

In una società che si sviluppa in più direzioni contemporaneamente, prendere una pausa può significare tante cose. Può essere una pausa da lavoro, ad esempio, o da un periodo particolarmente intenso, e da tutte quelle attività che aumentano il carico di stress fisico e mentale. Può trattarsi anche di qualcosa di più immediato, come una pausa dai social, da quell’impegno “invisibile” che lega molto del nostro tempo davanti a uno schermo e inevitabilmente ci stanca. La maggior parte delle pause sono quelle in cui ci si ritaglia del tempo per svolgere delle attività che ne sostituiscono altre, come ad esempio bere un caffè con un collega in ufficio mentre non si sta lavorando. Numerosi studi scientifici però, suggeriscono l’importanza di un altro tipo di pausa, più intensa, dove, in sostanza, non si deve fare assolutamente nulla. Momenti vuoti che non necessitano di essere riempiti.
In questo senso, possiamo parlare di “disconnessione”. Spegnere tutto, allontanare gli impegni e le solite attività per dedicarsi al silenzio, per provare davvero a dedicarsi a sé stessi.  
Non fare niente per fare tanto.  
Più facile a dirsi che a farsi. 

FOMO e JOMO: le due tendenze della modernità 

La verità è che spesso non riusciamo a fare alcuna pausa. Nel momento in cui sentiamo di non essere produttivi, veniamo sopraffatti dal senso di colpa e dalla sensazione di non fare abbastanza. Fermarsi diventa non fare, rimanere indietro, perdere qualcosa.
In questo senso parliamo di “FOMO”, acronimo di Fear Of Missing Out, quindi paura di essere esclusi. Si tratta di un fenomeno sociale molto diffuso tra i giovani e strettamente legato alla digitalizzazione della vita quotidiana. A furia di vedere la vita in streaming di influencer e personaggi famosi, una vita sempre piena di cose da fare, si viene sopraffatti dalla sensazione di perdere qualcosa. 
Il timore è che gli altri conducano una vita più appagante, un timore definito da due elementi principali:
– ansia per le possibilità che gli altri hanno e che a noi vengono precluse;
– desiderio di essere costantemente attivi e in contatto, attraverso i social, con gli altri.
Questo secondo elemento, strettamente collegato al primo, si basa sulla necessità di essere continuamente informati su cosa fanno gli altri e cosa, di conseguenza, non facciamo noi in paragone. 

Al versante opposto, parliamo invece di Jomo per descrivere la gioia di perdersi qualcosa. L’acronimo che sta proprio per Joy of missing out, rappresenta praticamente l’opposto della Fomo e vuole sottolineare l’importanza di vivere con serenità quello che si è scelto di vivere, senza rimuginare sulle alternative ma concentrandosi sul qui e ora.
Tra i comportamenti incoraggiati dalla JOMO:
– Non essere sempre iperconnessi
– Silenziare il telefono
– Non trascorrere ore sui social network
– Non leggere news e notifiche in continuazione
– Trascorrere del tempo con sé stessi o in compagnia di persone e non di device. 

Le pause fanno bene alla salute 

Le società moderne hanno fatto della produttività il cardine del vivere, lasciando poco spazio alle pause e all’importanza di fermarsi. Chi dorme non piglia pesci, dice un famoso detto popolare.
Le conseguenze però, possono sfociare in problemi di salute. Già negli anni 50, i cardiologi Rosenman e Friedman, approfondirono il tema studiando le variabili che possono incidere sulla possibilità di sviluppare una malattia cardiovascolare. Si accorsero che tra i pazienti affetti da queste patologie, c’erano diversi elementi comuni che non appartenevano alle solite categorie di genere, età e predisposizione fisiche, e che raggrupparono con il nome “Comportamento di tipo A”:
– forte motivazione a raggiungere obiettivi spesso sovrastimati
– competizione
– ricerca continua di riconoscimento
– stato di allerta costante
– iper-produttività.

Non tanto questi comportamenti, quanto la loro correlazione a generare forti stati di ansia e stress, sono associati a un rischio maggiore di infarto e, più in generale, incidono negativamente sulla salute delle persone.
Anche la qualità del sonno incide sul benessere fisico e psicologico delle persone ed è strettamente connessa con la necessità di fermarsi. Dormire è l’atto che permette al cervello di resettare, di liberare spazio mentale eliminando le informazioni in eccesso, e creando spazi per registrarne di nuove. Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un aumento vertiginoso dei disturbi del sonno, culminato negli anni della pandemia dove, secondo la ricerca “Lost in Italy”, si è assistito a un aumento del 22% di casi di insonnia e del 128% di una qualità del sonno insoddisfacente. 
I disturbi del sonno nascono da sovraccarichi di pensieri ed emozioni negative che appesantiscono le giornate e la mente e impediscono alle persone di fermarsi, e spesso, di addormentarsi.  

Prendiamoci una pausa 

Il nostro corso “La Gestione della pressione psicologica” esplora proprio le conseguenze che lo stress, soprattutto quello di origine post traumatico, possono avere sui professionisti sanitari, sia nel loro lavoro che nella vita personale. È un invito ad ascoltarsi e a non dare per scontati alcuni campanelli di allarme che potrebbero poi diventare veri e propri macigni.
Quindi: impariamo a prenderci una pausa, ogni tanto. 

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