Siamo cambiati, nel nostro modo di relazionarci, di approfondire, di imparare

26 luglio 2021

In che modo le neuroscienze associate ai nuovi media possono aiutarci a modificare l’insegnamento e quindi l’apprendimento? Lo abbiamo chiesto al prof. Vincenzo Russo, docente di Psicologia dei Consumi allo IULM di Milano.

“Ci sono due questioni e due considerazioni da fare. 1) i nuovi media e 2) il cervello. “Nuovi media” significa sfruttare le potenzialità che ti offrono i media per fare degli insegnamenti molto più coerenti con quello che sta succedendo nel cervello di adolescenti e bambini. Questi sono sempre più abituati alla cultura dell’immagine. Sono sempre più abituati alla cultura della rapidità, del “cotto e mangiato”, del “oggi, subito, immediatamente”. Faccio un esempio per capirci. I miei studenti, che hanno un’età media di 22 anni, considerano quello che la mia generazione ha vissuto come uno dei film più belli della propria esperienza – Mediterraneo – come un film noioso, perché lento. Loro sono abituati a Scandal. Sono abituati a una comunicazione molto più rapida, molto più veloce. Infatti abbiamo visto come il cinema e le serie tv, che di questa comunicazione sono appunto la perfetta rappresentazione, sono cambiati: una logica molto più veloce e molto più rapida, con colpi di scena, sali e scendi continuamente. Noi siamo stati abituati invece a una cultura della lentezza, soprattutto appunto nella narrazione cinematografica. Detto questo, io credo che chi si occupa di apprendimento – soprattutto nei bambini – debba imparare quali sono gli elementi che caratterizzano il loro vissuto, da una parte, e anche quello che si potrebbe fare con le nuove tecnologie. Io ricordo con estrema noia le lezioni di storia o di geografia. Oggi puoi fare storia o geografia facendo viaggiare le persone attraverso Google Earth o tramite meccanismi di realtà aumentata o realtà virtuale… che a volte certi insegnanti si sognano, perché non conoscono queste metodologie. Però potrebbero essere degli ottimi strumenti per poter creare engagement. Ma questo ha a che fare con gli strumenti.”

I nuovi media, quindi. Poi c’è il cervello…

“Esatto. Dall’altra parte ci sono le neuroscienze. Forse una migliore conoscenza del funzionamento cerebrale può non insegnare nuove tecniche, ma può far capire perché alcune funzionano meglio di altre. E allora, per esempio, sappiamo che il nostro cervello primario, quello più antico, si lascia particolarmente coinvolgere quando si rispettano alcuni criteri. Per esempio, la personalizzazione del messaggio. “Personalizzazione” ha che fare con l’essere riconosciuto come individuo. Quindi, perché non utilizzare questo piccolo trucco per ingaggiare, per coinvolgere? Non dico come fa la Nutella che permette di mettere il proprio nome sul barattolo per ricordare che noi siamo come la Nutella… ma il meccanismo è quello. Cioè la personalizzazione, la concretezza, la tangibilità, il contrasto: sono tutti elementi che al cervello primario piace riconoscere. Così come lo storytelling empatico. E allora se devi raccontare qualcosa, raccontala in maniera empatica, non semplicemente attraverso numeri o statistiche, perchétanto questa roba qui non ci piace. Se la stessa cosa la racconti in termini empatici, è molto più probabile che tu possa apprendere con più facilità. Ecco, le neuroscienze oggi ci dicono perché alcune cose funzionano rispetto ad altre. E questo credo che sia un segreto che dovrebbe essere non più segreto per chi si occupa di apprendimento.”

Grazie al prof. Vincenzo Russo, che ci conferma come la modalità di elaborazione di contenuti di formazione per la sanità di Cast Education sia oggi conforme ai cambiamenti studiati dalle neuroscienze del nostro modo di apprendere, unitamente alla velocità con la quale fruiamo dei nuovi media. Entrambi questi fattori influenzano il modo con il quale “raccontiamo” la conoscenza, con un unico obiettivo: mantenere altissima la qualità del contenuto veicolato, impeccabile il suo rigore scientifico, altamente efficace il risultato di apprendimento.

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